Testi liturgici: Ger 1,4-5.17-19; I Cor 12,31-13,13; Lc 4,21-30
Abbiamo inteso dal Vangelo che in un primo momento, da quelli presenti nella sinagoga, Gesù è tenuto in una certa considerazione. Ma quando si rendono conto che li sta accusando, perché colpevoli di non averlo accolto pienamente quale Messia, troviamo scritto: “Si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori dalla città”.
Perché fanno questo?
Perché, avendolo conosciuto sin da bambino e avendolo considerato come un semplice falegname, non vogliono arrendersi, neppure davanti all’evidenza per quello che sta dicendo. Per quanto buono e santo possa essere, quell’uomo non può essere il Messia.
Perché non lo può essere?
Perché, secondo il loro punto di vista, non soddisfa quei criteri che dovrebbe manifestare. Questo accade quando, per non deporre l’orgoglio, poniamo il nostro punto di vista, come unico criterio di verità.
In conseguenza di questo criterio, siamo portati a giudicare tutto e tutti, perfino il comportamento di Dio.
Ecco perché, proprio a tal proposito, la frase di Gesù: “Nessun profeta è bene accetto nella sua patria”.
Questo vale per tutti e per ogni tempo, per cui è da applicarsi anche a noi, nell’oggi. Infatti, se viviamo la nostra fede in maniera coerente, senza lasciarci condizionare, non meravigliamoci se troviamo degli avversari, tra cui possono esserci perfino quelli di casa.
Se da una parte ho detto di non meravigliarci, dall’altra aggiungo che non vi è nulla da temere, perché il Signore sta dalla nostra parte.
Chi dice questo?
Lo dicono anche diverse espressione ascoltate nelle letture di oggi.
Ecco, ad esempio, quello che dice il Signore a Geremia: “Prima di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto”. Da tener presente che nella Bibbia il termine “conoscere” significa “amare”. Veramente Dio da sempre ha amato Geremia, come da sempre ha amato ciascuno di noi. È cosa certa che egli è al nostro fianco, rimane sempre fedele, non ci tradisce mai, ci aiuta sempre.
È vero che spesso questo sembra non corrispondere, come pure a Geremia non tornavano i conti.
Infatti, se da una parte gli dice: “Oggi io faccio di te come una città fortificata, una colonna di ferro e un muro di bronzo”, dall’altra, se continuiamo la lettura, ci accorgeremo che, almeno a prima vista, è tutto diverso. Infatti, ogni volta che apre bocca, trova la ribellione degli interlocutori che manifestano anche con violenza, facendogli subire tutti i maltrattamenti possibili.
Ma come ha proseguito ancora il brano di oggi?
Ecco le altre parole del Signore: “Ti faranno guerra, ma non ti vinceranno, perché io sono con te per salvarti”.
Da cosa è dipesa la fortezza di Geremia che ha proseguito comunque?
È dipesa dalla sua fede, nell’aver creduto veramente che il Signore era con lui e che avrebbe mantenuto le promesse.
A questo punto, non dobbiamo dimenticare che Geremia è una chiara anticipazione della figura di Gesù il quale, pur sincero ed innocente, è stato contestato e condannato.
Questo vale anche per tutti noi che siamo i discepoli di Gesù. Non possiamo aspettarci una sorte diversa, lo ha detto lui: “Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi… chi non prende ogni giorno la sua croce, non può essere mio discepolo”.
Anche per noi, comunque, vale l’assicurazione di Gesù: “Non temete, io sono con voi…”; ed anche quella già citata rivolta a Geremia: “Ti faranno guerra, ma non ti vinceranno, perché io sono con te per salvarti”.
Quando noi camminiamo nella volontà di Dio e tutto facciamo con amore e per amore, come ci ha detto Paolo parlandoci della carità, sapendo che l’amore è quanto mai contagioso, dobbiamo essere certi che verrà tempo in cui, anche attraverso la nostra testimonianza, il Signore farà raccogliere buoni frutti.
Sac. Cesare Ferri rettore Santuario San Giuseppe in Spicello
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