Testi liturgici: Is 43,16-21; Fil 3,8-14; Gv 8,1-11
Una donna adultera, come quella di cui ci ha narrato il brano evangelico, secondo la legge mosaica sarebbe dovuta essere lapidata.
Comunque, tale pena capitale non sempre era applicata automaticamente ad occhi chiusi, ma di volta in volta si doveva valutare ogni caso nei suoi particolari e dopo di che rendere la decisione migliore.
In questo particolare caso viene chiesto anche il parere di Gesù.
Però, purtroppo, la domanda non era formulata in maniera seria, cioè per amore della donna stessa e per trovare la migliore soluzione, ma era solo quella di avere un capo di accusa contro Gesù.
Se Gesù avesse risposto che andava uccisa, lo avrebbero accusato di rigorismo eccessivo; se al contrario avesse detto di lasciala libera, lo avrebbero accusato di insegnare precetti contro la legge.
Anche questa volta, come in analoghe altre circostanze, Gesù ne esce indenne. Infatti, vede il loro cuore, ribalta lo scenario e… sorpresa!
Da notare bene che Gesù di fatto non assolve la peccatrice. Dice, infatti, di tirare le pietre, ma prima di farlo devono a loro volta sentirsi “senza peccato”. Ora, non potendolo ammettere, sono costretti a ritirarsi.
Potremmo ben dire che solo ora, nel mentre vedono la pagliuzza nell’occhio dell’altro, si accorgono della trave che è nel proprio occhio.
Pertanto, coloro che accusavano lei, diventano a loro volta accusatori di se stessi, rendendosi conto di essere pieni di peccati.
Gesù è veramente il vero giudice che non è venuto per condannare, ma per perdonare. Ovviamente, perché questo avvenga, è necessario essere pentiti. È vero che i farisei riconoscono i loro peccati, però di fatto non sembrano pentiti e se ne vanno, rimanendo tali e quali. Neppure la donna sembrerebbe pentita, però rimane.
Ed ecco il richiamo di Gesù valido per questo caso specifico, ma pure valido per tutti noi e per ogni giorno della nostra vita, quello della continua necessità del pentimento e del buon proposito, cosa che Gesù evidenzia e chiede con l’espressione: “Neanche io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più”.
Come è consolante questo anche per noi!
È vero che spesso siamo costretti ad ammettere che ricadiamo sempre nei soliti peccati, tanto da far dire a qualcuno: “Mi perdonerà ancora il Signore?”.
La sua risposta, ovviamente, è che mai ci condanna e che sempre perdona, però ci chiede di mettercela tutta per non ricadervi ancora.
Questo anche se uno prevede già di ricadervi, analogamente al fatto che tutti prevediamo di morire, ma di fatto ce la mettiamo tutta per continuare a vivere.
È quello che ad un certo punto sottolinea Paolo nel brano ascoltato: “Non ho certo raggiunto la meta, non sono arrivato alla perfezione; ma mi sforzo di correre per conquistarla”.
Si tratta di continuare a lottare, non badando al passato ma sempre protesi in avanti. È ancora Paolo a dircelo, nel suo proseguire: “Dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso quello che mi sta di fronte, corro verso la meta, al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù”.
Si tratta di dimenticare il passato, ammesso che sia stato anche molto peccaminoso e non farci un eccessivo tormente. Come quando entra la luce, il buio non c’è più, scompare; così quando entra la grazia di Dio il peccato non c’è più, è scomparso
O meglio, dobbiamo anche guardare il passato, ma solo per riconoscere la luce che il Signore ha profuso in noi, e per ammirare le opere meravigliose che ha compiuto in noi, proprio per ringraziarlo senza fine.
Sac. Cesare Ferri rettore Santuario san Giuseppe in Spicello
Comments are closed.