Testi liturgici: At 5,12-16; Ap 1,9-13.17-19; Gv 20,19-31
Siamo nella seconda domenica di Pasqua che chiude gli otto giorni come se fossero stati un giorno solo.
Nelle celebrazioni eucaristiche della settimana abbiamo ascoltato la narrazione di diverse apparizioni di Gesù risorto, come del resto è avvenuto anche nel brano di oggi.
Da qualche tempo questa domenica, per iniziativa di san Giovanni Paolo II, è chiamata della “Divina Misericordia”. Il fatto è per essere stati in sintonia con quanto Gesù stesso ha detto a santa Faustina Kowalska: “L’impegno tuo è una totale fiducia nella mia bontà. Il mio impegno è quello di darti tutto ciò di cui hai bisogno. Divento io stesso dipendente della tua fiducia; se la tua fiducia sarà grande, la mia generosità non conoscerà limiti”.
Ed infatti, tutte le letture oggi ci conducono a questa conclusione, tutte ruotano intorno al tema della misericordia che, a sua volta, trova il proprio culmine nel vangelo ascoltato, nel quale viene chiaramente attestato il perdono dei peccati: “A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro che non perdonerete, non saranno perdonati”.
Attenzione, però, a capire bene l’espressione, perché potrebbe non essere del tutto chiara, facendoci cadere in un equivoco.
Il perdono non dipende dall’arbitrio o dall’umore del confessore. Tutt’altro, dipende invece dalle disposizioni del penitente. Se nel penitente non c’è il pentimento, se non c’è il buon proposito, il perdono di Dio non riesce a raggiungerlo. Se invece c’è il vero pentimento, il perdono gli arriva certamente, perché il Signore, che è pienezza di amore, non può fare altro che perdonare.
Come ogni anno, il vangelo ci fa riflettere anche sull’atteggiamento e sulla fede di Tommaso.
L’episodio ci parla di due apparizioni agli apostoli chiusi in casa per timore dei Giudei. La prima volta Tommaso è assente e quando torna non crede a quanto gli raccontano.
Perché non crede, e perché anche noi, qualche volta e su qualche aspetto della vita e dei fatti che ci capitano, non crediamo pienamente?
Anche qui, attenzione a capire bene!
Non dico questo a livello di intelletto, per il quale potremmo anche vivere in una dimensione di fede – come del resto dimostra il fatto di essere qui – ma senza che questo tipo di fede abbia una incidenza concreta nella vita, in quanto di fatto nei giorni avvenire potremmo comportarci come se non credessimo.
Una delle risposte potrebbe essere anche quella di non utilizzare la maniera giusta per credere. Se qualche volta non arriviamo ad esperimentare la presenza del Signore, è perché pensiamo di poterci arrivare da soli.
Potrebbe andar bene anche questo, però c’è un dato di fatto. Si arriva meglio a comprendere e ad esperimentarlo non tanto singolarmente, quanto in maniera comunitaria. E’ vero che Gesù a qualcuno è apparso anche singolarmente, come ha fatto con la Maddalena e con i due discepoli di Emmaus, ma preferisce apparire alla comunità riunita, appunto come nel vangelo di oggi.
Di qui si capisce come è quanto mai sia importante la nostra assemblea domenicale in cui ci raduniamo per celebrare la morte e risurrezione di Gesù!
Noi in questo momento siamo qui per fare questo.
In altre parole, chi trascura di fare questo alla domenica e feste, perde l’occasione per una ricarica di fede che, nella settimana riuscirebbe a farci esperimentare sempre ed ovunque la presenza del Risorto vivo ed operante, sempre in mezzo a noi, come egli stesso ci ha assicurato nel momento in cui stava per salire in cielo: “Io sono con voi, tutti i giorni, sino alla fine dei tempi”.
A Tommaso dice: “Perché mi hai veduto tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e anno creduto”. Noi vogliamo essere tra quelli che credono senza vedere, proprio per riuscire ad essere beati.
In cosa consiste questa beatitudine?
Sta nel riconoscere quello che ho già detto, cioè che il Risorto, anche se non visibile agli occhi, è sempre presente in mezzo a noi, cammina con noi, ci aiuta a superare ogni prova e difficoltà.
Ed è proprio questo nostro credere che ci fa provare la serenità e la pace interiore, quella pace che egli ha inaugurato e donato, come abbiamo ascoltato: “Venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: Pace a voi”.
Credere, allora, significa guardare a lui che, se pure crocifisso, trafitto e sepolto, tuttavia è risorto e come tale – lo ripeto ancora – è sempre presente in mezzo a noi, anche se qualche volta potrebbe non sembrarlo.
Di conseguenza mai rattristarsi e piangere sulle nostre eventuali ed apparenti sconfitte, e sulle nostre tante e varie difficoltà. Se lui ha vinto, con lui vinceremo anche noi.
Grazie, Signore Gesù, che sei con noi e ci sostieni sempre!
Sac. Cesare Ferri rettore Santuario San Giuseppe in Spicello
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