Testi liturgici: Gen 15,5-12.17-18; Fil 3,17-4,1; Lc 9,28-36
Puntualmente ogni anno, nella seconda domenica di quaresima, torna il racconto della trasfigurazione di Gesù. Nel corso dei tre anni sono narrate da evangelisti diversi. Quest’anno è la volta di Luca.
Per quale motivo viene letto questo brano durante il periodo quaresimale?
Perché ci stiamo avvicinando a celebrare la passione di Gesù durante la settimana santa, allorquando vedremo che dovrà subire ogni genere di sofferenze e di prove, alla fine culminanti con la morte in croce. Una cosa importante è da comprendere in quel momento. Colui che sta soffrendo è lo stesso Gesù che, circonfuso di gloria, vive nella luce presso il Padre.
I tre apostoli, che a loro volta dovevano essere preparati ad affrontare tale momento, avevano proprio bisogno di vedere che in lui vi era un “qualcosa di più” del semplice potere di fare miracoli o di insegnare con autorità.
E cosa vedono?
Vedono che egli vive nel tempo e, contemporaneamente, fuori del tempo. Infatti parla con Mosè ed Elia, che erano già esistiti, ma che ora sono diventati suoi contemporanei.
E poi ascolta direttamente la voce del Padre che lo chiama Figlio, e questo per dire che è Dio anche lui.
Ebbene, a noi tale episodio cosa dice nel nostro vivere quotidiano?
Vuol dirci che anche noi possiamo parlare con gli uomini del passato – familiari, parenti, congiunti, amici – con coloro che ora sono nella luce della gloria, ma che pur tuttavia possono camminare insieme a noi, dandoci il loro contributo.
E non solo. A maggior ragione, anche Gesù è quanto mai presente in mezzo a noi. Con la forza che proviene da lui, possiamo riuscire a portare la nostra immancabile croce quotidiana.
Infatti, una cosa è certa! Nella vita non è sempre facile affrontare certe situazioni, piene di sofferenza, ma con il sostegno della fede, tutto diventa possibile. Si tratta di imitare quella di Abramo che si è fidato a occhi chiusi della promessa di Dio, che gli garantiva una discendenza incalcolabile come sono le stelle del cielo e come è la sabbia del mare. Una fede che rimane tale anche quando gli chiede di sacrificare il figlio.
L’episodio ascoltato nella prima lettura è proprio per garantirci questo fatto e per dirci che Dio rimane fedele alle promesse, nonostante qualsiasi cosa in contrario. Egli sempre ci viene in aiuto nel momento opportuno.
Tutto questo è il significato nascosto nell’episodio ascoltato.
Di cosa si tratta e cosa vuol dirci?
Per farcelo meglio capire, il Signore si adatta in qualche modo a celebrare un rito che si compiva molto frequentemente in quei tempi.
E’ un qualcosa di analogo a quanto facciamo noi con una stretta di mano, dopo una intesa raggiunta, o addirittura ed ancor meglio quando per lo stesso motivo andiamo a sottoscrivere un atto notarile, proprio per indicare la serietà dell’intesa ed il suo inequivocabile valore, dal quale ormai non si torna più indietro.
Ed ecco il rito.
Si prendeva un animale e lo sacrificava dividendolo in due parti. Questo per significare che sarebbe dovuta succedere la stessa cosa ai due contraenti se uno dei due fosse venuto meno all’accordo preso.
Cosa vuol dire a noi?
A Dio non può succedere nulla perché certamente rimane sempre fedele a noi.
Il guaio è solo nostro. Se non ci fidiamo di lui e facciamo di testa nostra corriamo proprio il rischio di essere “squartati”, cosa che ci impedisce di vivere alla sua presenza, di godere di lui e di ottenere la vita eterna.
Sac. Cesare Ferri rettore Santuario san Giuseppe in Spicello
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