Testi liturgici: Ger 17, 51-8; I Cor 15,12.16,20; Lc 6,17.20-26
Nella nostra vita tante volte siamo chiamati a prendere delle decisioni. Molte di queste decisioni potrebbero essere passeggere e temporanee, ma ve ne sono due, l’una opposta all’altra, le quali sono talmente importanti e decisive da avere conseguenze non solo in questa vita ma per tutta l’eternità.
Trovandoci di fronte a queste due precise strade importantissime, si tratta di saper scegliere quella migliore. L’una è quella che dà più importanza all’umano, anche se in un certo senso Dio non è scartato; l’altra, invece, è quella che tiene presente soprattutto il divino e lo antepone, ritenendolo di somma ed esclusiva importanza.
Non si tratta d’altro che intendere bene e tenere presente quello che dice il Signore per bocca del profeta Geremia: “Maledetto l’uomo che confida nell’uomo… Benedetto l’uomo che confida nel Signore”.
Anche Gesù riprende l’argomento, con la differenza che, al posto di usare il termine di “Benedetto”, utilizza quello di “Beato”.
Anche per Gesù, pertanto, ci sono gli inguaiati e gli sfortunati da una parte e i beati e i fortunati dall’altra.
A questo punto diventa logica una domanda.
In cosa consistono la maledizione e l’inguaiamento da una parte, la benedizione e la beatitudine dall’altra?
La maledizione porta al nulla, alla morte, come avviene per un albero piantato nel deserto. Mancando di acqua, presto secca e muore.
La benedizione, invece, porta alla vita, proprio come avviene per un albero piantato lungo un corso d’acqua. Esso porterà molto frutto e rinverdirà di anno in anno.
Chi è colui che corre il rischio della maledizione?
E’ colui che confida solo in se stesso e nelle proprie capacità, è colui che confida solo nelle cose umane e nei beni materiali; mentre, invece, trova la benedizione colui che confida nel Signore e nella sua grazia.
Quali sono le conseguenze?
Coloro che spendono la propria esistenza contando solo su valori umani, non avranno molta fortuna e non saranno mai contenti. Coloro, invece, che puntano sui valori proposti dal Signore, anche se agli occhi del mondo potrebbero sembrare persone fallite, di fatto avranno un grande guadagno.
Rimanendo sul piano della fede, qual è l’insegnamento e qual è il guadagno?
Vuol insegnarci che, se la nostra vita di fede non ha radici profonde, cioè non attinge l’acqua della grazia di Dio, rischiamo di abbatterci di fronte ai problemi della vita, senza portare alcun frutto di benedizione, di gioia e di consolazione.
Gli stessi concetti e le stesse esortazioni sono ribaditi, a maggior ragione, dalla pagina evangelica, quella delle beatitudini, le quali praticamente tutte sono riepilogate nella prima: “Beati i poveri, perché di essi è il regno dei cieli”.
Attenzione, però, a comprendere bene!
Non si tratta di vivere da disgraziati, nello squallore, nella privazione del necessario, nel non avere una vita dignitosa. Questo neppure il Signore lo vuole, non è questa la povertà evangelica.
Nel linguaggio evangelico, infatti, per povertà non si intende la mancanza dei mezzi di sussistenza, ma sta nel fatto di confidare sempre, solo e ovunque nel Signore.
I mezzi di sussistenza non vengono scartati, ma devono aiutarci a scoprire la provvidenza di Dio, non vanno disprezzati ma vanno utilizzati bene. Si tratta di escludere il superfluo e nel contempo nel saper condividere.
Se c’è questo tipo di povertà, siamo veramente ricchi in quanto, come dice Gesù, abbiamo il regno dei cieli e la salvezza eterna; se invece questo manca, siamo veramente poveri, mancanti di tutto, oltre ad essere condannati per tutta l’eternità.
Sac. Cesare Ferri rettore Santuario San Giuseppe in Spicello
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