Testi liturgici: Ne 8,2-10; I Cor 12,12-30; Lc 1,1-4; 4,14-21
Dal vangelo abbiamo ascoltato queste parole riferite a Gesù: “Venne a Nazareth, dove era cresciuto, e secondo il suo solito di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere”.
Quel giorno, di sua iniziativa, prende il posto che sarebbe spettato al predicatore. Questo è avvenuto con una certa meraviglia e stupore dei presenti in quanto, considerandolo come un semplice falegname, di fatto avrebbe potuto predicare e insegnare ben poco.
Eppure egli, con grande audacia e con sicura franchezza – convinto di possedere la verità e di farla conoscere – annuncia ai suoi compaesani di essere lui il Messia da loro tanto atteso, perché lo Spirito del Signore è sopra di lui.
Al tempo stesso afferma pure quale sia la sua missione. Essa consiste nel “Portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi e proclamare l’anno di grazia del Signore”.
Cosa vuol dire “portare ai poveri il lieto annunzio?”.
Ognuno di noi in qualche maniera è povero, non tanto materialmente, ma soprattutto spiritualmente. Senza l’aiuto di Dio, siamo veramente poveri e bisognosi, siamo nella tristezza, non riusciamo a combinare nulla o quasi. Ma ecco che viene Gesù per redimerci, cioè per toglierci da questa situazione.
Cosa vuol dire “proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista?”.
Ognuno di noi, quando commette il peccato, diventa schiavo e prigioniero di esso vivendo nelle tenebre proprio per colpa di esso. Ma ecco che viene Gesù per togliere il peccato e liberarci dalla sua schiavitù, per farci conoscere tutta la verità, e così vivere nella vera libertà dei figli di Dio.
Cosa vuol dire “rimettere in libertà gli oppressi e proclamare l’anno di grazia del Signore?”.
Significa che con noi c’è sempre lui, il Signore Gesù. Egli quando trova qualcuno che è povero, che è escluso, che è emarginato, che è oppresso da ogni tipo di difficoltà, prende una posizione favorevole nei suoi confronti.
Per Gesù ogni persona vale tantissimo, è quanto mai preziosa ai suoi occhi, tanto più se tale persona è un peccatore pentito.
Questa vicinanza del Signore deve toglierci ogni tristezza, ogni scoraggiamento in quanto ci ripete sempre di non temere nulla, perché egli è sempre con noi.
Tutto questo non è forse motivo di gioia e di ripresa per una vita serena?
Praticamente è quello che hanno vissuto coloro di cui alla prima lettura, dei quali dobbiamo imitare pure il comportamento.
Di che si tratta?
Dopo i lunghi anni dell’esilio, erano finalmente tornati nella propria patria; ma c’è tutto da ricostruire, tutto da risistemare, tutto da riorganizzare per ricomporre la comunità; ecco spiegato il motivo per cui la tristezza, la sfiducia e lo scoraggiamento predomina in loro.
Dove trova la forza per superare la situazione?
La trova nella celebrazione della Parola di Dio, minimamente descritta nel suo svolgimento. Da notare che la modalità è identica a quella che anche noi stiamo facendo in questa prima parte della Messa.
Il popolo eleva a Dio la lode, poi lo scriba Esdra apre il libro e alcuni lettori proclamano vari brani del Deuteronomio. Tutta l’assemblea sta in silenzioso ascolto. Poi, segue la spiegazione del testo con parole che attualizzano il proprio rapporto con il Signore. Il popolo si rende conto che, quanto era capitato, proveniva dalla conseguenza del peccato, per non aver seguito le indicazioni del Signore. Se ne pente sinceramente e si converte.
Allora interviene Esdra il quale, riconoscendo il sincero pentimento del popolo, invita tutti alla gioia, al banchetto e alla festa dicendo: “Questo giorno è consacrato al Signore”.
Pertanto ogni lamento deve essere bandito, perché Dio ha condonato ogni debito ed ha usato grande misericordia, con queste precise parole: “Non vi rattristate perché la gioia del Signore è la vostra forza”.
E’ la gioia che dovrebbe vivere ognuno di noi, per il fatto di riconoscere che il Signore è sempre con noi.
Sac. Cesare Ferri rettore Santuario San Giuseppe in Spicello
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