Testi liturgici: At 10,37-43; I Cor 5,6-8; Gv 20,1-9
In questa omelia facciamo due riflessioni. Nella prima prendiamo in considerazione una espressione della lettera di Paolo ai Corinzi, nella seconda considereremo il brano evangelico.
Abbiamo ascoltato come Paolo ad un certo punto dice: “Togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova, poiché siete azzimi”.
Cosa vuol dire tale espressione?
L’esempio del lievito è usato da Gesù diverse volte nel vangelo. Paolo lo riprende per farci capire quello che è diventata la nostra vita dopo la risurrezione di Gesù.
Cosa è, quale significato contiene questo lievito che dona una vita nuova?
La vita nuova non è altro che la vita di Gesù Cristo in noi. Questa sua vita non è soggetta al tempo, alle cose della terra, allo spazio limitato che stiamo vivendo. Infatti, lui è fuori del tempo, lui è l’eterno.
Se questo lievito è dentro di noi, tutta la nostra vita cambia, si espande, prende nuovo sapore, come avviene in forza del lievito nella pasta azzima; questa pasta cresce e diventa una realtà tutta nuova, diventa un pane molto più buono e saporito.
Anche noi rimaniamo uomini come prima, soggetti alle cose del tempo e nel condurre una vita normale, ma di fatto portiamo una vita del tutto nuova, anche se non si vede dal di fuori, come del resto non si vede il lievito dentro la pasta del pane.
Questa vita rinnova tutto, innalza tutto alla dimensione divina, tanto è vero che di fatto ci fa diventare figli di Dio.
Il cristiano con questa vita è veramente una nuova creatura. Non è semplicemente un qualcosa di rabberciato o accomodato, come se la morte di Cristo avesse messo una semplice toppa, o vi abbia cucito solo qualcosa e basta. No, in forza della sua risurrezione, stiamo veramente vivendo una vita del tutto nuova, nuova di zecca, perché dentro di noi ora c’è la sua vita. Questa vita si manifesta – come dice Paolo – nella “sincerità e verità”, perché tale è l’amore di Gesù. Esso è fatto di un amore vero e sincero, non fittizio. Una volta consapevoli di questo lo accogliamo e cerchiamo imitarlo nella nostra vita quotidiana.
Passiamo alla seconda riflessione che traiamo dal brano evangelico.
In esso troviamo persone che vanno in fretta e corrono, come di fatto è la nostra vita di ogni giorno.
Infatti, chi di noi in qualche maniera non corre? La vita è diventata tutta una corsa, il tempo non basta mai!
Ma verso dove corriamo, qual è il motivo della nostra corsa?
Confrontiamoci con Maria che pure va in fretta verso il sepolcro.
Vediamo come si sveglia presto, forse non ha chiuso occhio in quella notte. Si mette in cammino ancora nel buio per dare la dovuta dignità a quel Gesù che aveva incontrato e che le aveva cambiata la vita.
Giunge al sepolcro ed è presa da stupore. Quella enorme pietra che lo ricopriva, non c’è più, o meglio è rovesciata.
Senza riflettere più di tanto, suppone che il corpo sia stato trafugato e con altrettanta fretta va a riferirlo agli apostoli.
Essa con il suo tipo di corsa manifesta un pregio, quello di amare Gesù.
Ma nel contempo rivela anche un difetto, quello di manifestare un amore troppo possessivo. La sua fiducia in Gesù è troppo umana, non poggia su una fede ben radicata, non ripensa alle parole a suo tempo pronunciate da Gesù stesso: “Il Figlio dell’uomo dovrà soffrire e morire, ma il terzo giorno risorgerà”.
È una fede che ancora non le fa credere che Gesù è veramente risorto.
Anche Pietro e Giovanni corrono. Anch’essi vedono qualcosa di strano, ma non valutano allo stesso modo e non arrivano alle stesse conclusioni.
In un primo momento, anch’essi sono convinti del trafugamento. Giovanni però pensa che, se fosse stato un ladro, avrebbe lasciato un disordine; qui, invece, i teli e il sudario sono piegati e posati bene. Pertanto, giunge alla conclusione che ci deve essere stata qualche altra cosa.
Ed ecco la sua conclusione: “Vide e credette”. Cioè, crede veramente alle Scritture le quali avevano affermato che: “Egli doveva risorgere dai morti”.
Ecco, pertanto, la risposta alla domanda che ci siamo posti pocanzi: “Nella nostra vita verso cosa o verso chi corriamo?
Solo nel darci da fare per stare meglio in questo mondo e per realizzare i nostri sogni e, quindi, solo per le cose di questo mondo?
Non dovrebbe anche servire per migliorare la nostra vita spirituale guardando la meta finale del cielo?
Non è forse vero che per le cose di questo mondo, se pur con fatica, troviamo sempre qualche ritaglio di tempo, mentre per le cose spirituali ci scusiamo dicendo che non abbiamo tempo?
Con quali conseguenze?
Con l’insoddisfazione. Infatti, con l’affannarsi solo per le cose terrene, rimarremo sempre più delusi e scontenti.
Sac. Cesare Ferri rettore Santuario san Giuseppe in Spicello
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